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L’opera d’arte totale di Vittorio Rainieri, 
costruttore di forme e  dispensatore di emozioni

Il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi non è un anniversario riducibile a semplice ricorrenza, una fra le tante che celebriamo ogni anno in Italia. L’Italia deve molto al maestro di Busseto. Verdi le ha dato prestigio continuando la tradizione della grande musica,  tenendola così collegata, almeno in tal settore, alla grande cultura europea in un momento in cui, immemore dei fasti del passato, il Bel Paese non godeva certo d’immenso prestigio e non splendeva di grande fulgore.
Ma non solo per ciò: Verdi ha incarnato lo spirito del Risorgimento, l’anelito alla libertà intesa come valore primario e assoluto. La libertà politica ed economica fu per lui un valore equivalente alla libertà  dello spirito, dell’affermazione della coscienza individuale. Il suo nome, prestato agli slogan del patriottismo (Viva V.E.R.D.I.) evocava altresì il rispetto e la venerazione di cui sono oggetto tutti i grandi della storia.
In ogni italiano, senza eccezione alcuna, lo spirito verdiano, rivelatore di sentimenti alti, è indice di profondo orgoglio, e ispira un senso di appartenenza a qualcosa che sconfina al di là del contingente o dell’estemporaneo. Possiamo immaginarci come tali sentimenti possano amplificarsi in tutte quelle persone che con Verdi condividono i luoghi, la lingua locale, i sapori e gli odori di quella terra che ha come punto di riferimento la bellissima città di Parma.
A Parma è nato infatti Vittorio Rainieri, artista d’ottima caratura espressiva, che non ha voluto rimanere insensibile alla ricorrenza verdiana e che, dunque, già dal 2009, ha iniziato a prepararsi su questo terreno specifico per omaggiare al meglio il grande maestro di Busseto con una iniziativa che non potrà non lasciare un suo particolare segno. Di cosa si tratta? Procediamo con ordine.
Forse non tutti sanno (ma i parmensi si) che nella città natale di Vittorio Ranieri esisteva una maestosa architettura, eretta nel piazzale antistante la stazione, per ricordare Giuseppe Verdi. Questo monumento, progettato dall’architetto Lamberto Cusani e dallo scultore Ettore Ximenes, consisteva in un arco di trionfo incastonato fra due ali di un grande peristilio semicircolare. Al centro stava un’ampia ara in granito (oggi risistemata in Pilotta) che esibiva un grande bassorilievo in bronzo raffigurante scene della vita di Verdi e altre ispirate alle sue opere.
Il monumento a Giuseppe Verdi, inaugurato nel 1913, rimase danneggiato nel 1944 da un bombardamento. Non era in condizioni di irrecuperabilità ma il Comune, con in mente ben altri progetti (sicuramente più remunerativi), sciaguratamente lo fece demolire. Rimangono come testimonianza della bella architettura eclettica solo nove delle ventotto statue in cemento che raffiguravano simbolicamente i ventisei melodrammi verdiani più la Messa da Requiem e l’Inno alla Guerra.
Vittorio Rainieri, dopo attente ricerche e documentazioni sul monumento scomparso, decide di impostare il suo omaggio di riconoscenza a Verdi cercando di far rivivere simbolicamente, coi mezzi della pittura (ma non solo), l’antico manufatto, con tutto il suo significato culturale e storico, estrapolando dalle partiture musicali e sceniche gli elementi più rappresentativi di tutto ciò che collega le arti visive alla musica.
Ciò comporta un’attenzione e una sensibilità del tutto particolari, anche se a Rainieri non è dovuto sfuggirgli il legame di parentela strettissimo che lega indissolubilmente le due discipline espressive. Altrimenti perché arti visive (soprattutto la pittura) e musica condividerebbero lo stesso lessico? Per entrambe le arti si parla di armonia, di timbri, di scale cromatiche, di ritmo, di composizione, di accordi, di spazio e tempo, di improvvisazione, di colori (o suoni) squillanti, di suoni (o colori) chiari e scuri, e via discorrendo. Sarà forse un caso? Per artisti del calibro di Seurat, Delaunay, Klee e Kandinskij, no. Per musicisti come Alexandr Scriabin, Wladimir Boronoff-Rossiné, Arnold Shönberg e tantissimi altri neppure.
Con tali convinzioni e con la coscienza dei propri mezzi, Rainieri inizia la sua dedica a Verdi realizzando delle opere in tutto corrispondenti alle statue contenute nel monumento verdiano dispiegando la sua salda poetica pittorica e considerando il soggetto obbligato non un elemento di limitazione creativa, bensì un cimento con cui raggiungere i più alti esiti creativi pur attenendosi fedelmente ai preesistenti caratteri dei personaggi.
L’artista nel raccontarli non tralascia niente e così, piuttosto che personaggi imbalsamati dal tempo e dalla storia, balzano dalle grandi tele (ciascuna misura156 x 106 cm.) in tutta la loro vitalità e in tutta la loro spavalda realtà quasi, nonostante i loro costumi anacronistici, come se si trattasse di personaggi del nostro tempo.
Nessun sentimento attribuito a loro viene dimenticato o, semplicemente, trascurato; tutti rivivono i loro ruoli con fedeltà storica. La cosa più interessante è però il fatto che Rainieri non utilizza il metodo pedante del verismo descrizionista ma quello, di gran lunga più efficace e poetico, dell’affioramento evocativo, supportato talora da appropriate simbologie di cui il ciclo di opere complessivamente abbonda. I loro complessi problemi, i loro profondi turbamenti, gli affanni, i tormenti e le gioie appaiono con l’universalità che è propria a tutti i grandi temi umani.
Fra i tanti simboli che potremmo andare ad evidenziare ve n’è uno, in particolare, di somma efficacia. Mi sto riferendo alla luce che non è atmosferica e impressionistica ma, piuttosto, di natura concettuale.
La luce di Rainieri ha una vocazione teatrale ma non è concepita, semplicemente, per far meglio risaltare i personaggi nel loro ambiente. E’ una luce che balena a guizzi fulminei con staffilate chirurgiche, che attraversa come lame taglienti lo spazio scenico, e che scandiscono un tempo metafisico, immobile, non convenzionale, che non fluisce, e uno spazio che si destruttura e si ricompone secondo leggi che non sono quelli della natura, ma quelli della mente e delle emozioni.
Si, la luce che Rainieri porta in scena ha una natura emozionale; essa svela  il turbinare delle pulsioni e i sentimenti più intimi dei personaggi che pian piano prendono forma e si concretizzano nelle apparenze essenziali della verità sensibile. E una luce, infine che crea geometrie caleidoscopiche che appaga un bisogno di ordine e di chiarezza teorica mentre evoca efficacemente anche la luce dello spazio scenico distribuita e diffusa dai riflettori. E’ in tal modo che i personaggi verdiani di Rainieri diventano immortali. Immortali perché fuori dal tempo. Fuori dal tempo perché eterni.
Tanto tempo fa il grande Richard Wagner componeva il suo "Wort-ton-drama" (dramma teatrale di parole e suoni) che aspirava a un'arte globale in cui musica, parola, azione, scena, luci e colori, costituissero un'unità inscindibile. Egli pensava all’opera d’arte come ad un evento totale, qualcosa che superasse i generi artistici e anteponesse a tutto il risultato d’espressione al di là delle singole discipline che compongono l’immenso universo della creazione artistica.
Anche Rainieri pensa in grande. Questo evento dedicato a Verdi è un insieme di pittura, scenografia, musica e, per intensificarne il dato sensoriale, anche di gastronomia, di sapori e odori tipici dei luoghi di provenienza. E’ un evento che mira alla sintesi delle arti ma anche a risultati di armonia e bellezza, valori variabili nel tempo e nello spazio ma a carattere universale.
L’arte di Rainieri è fondata, oltre che sul parallelismo con la musica, soprattutto sull’assioma che essa debba essere compresa da tutti. Emozioni, vibrazioni e suoni devono assumere forme “solide”, tangibili. Trattandosi di un’opera frammentaria in quanto suddivisa in ben ventisette reparti (come in un ciclo rinascimentale), il risultato non poteva certamente dirsi scontato. Eppure l’artista ha saputo tenere saldamente in mano il filo della continuità stilistica e formale, della univocità e coerenza espressiva dei vari temi, spesso, per caratteri e temporalità, molto distanti fra loro.
“Lo spirito verdiano” di Rainieri è una di quelle opere insidiose che potrebbe presentare, per la sua complessità, falle di natura espressiva, contenutistica e comunicazionale; invece consacra l’artista come un grande narratore visivo; un vero regista di immagini, di forme e di emozioni.

Franco Migliaccio


  Le Opere di Verdi hanno segnato la storia della musica e dell'opera
 
di Manon Lefevre.

Le Opere di Verdi hanno segnato la storia della musica e dell'opera, dunque era inevitabile che si ispirava a numerose persone. Un artista italiano del ventunesimo secolo dal nome di Vittorio Rainieri decide di rendere omaggio a questo compositore romantico italiano. Secondo lui, Verdi aveva un messaggio forte da trasmettere nelle sue opere. Così attraverso le 27 opere ha saputo fare provare la poesia del grande uomo. Il suo stile è caratterizzato da forme geometriche, uno stile esoterico dai colori vivi.  Ogni elemento che compone le sue opere rispettano la musica di Verdi. Sceglie il momento chiave di ogni opera estrapolandone l'anima. Le sue pitture non rappresentano un momento statico, ma rappresentano lo spirito del momento. Attraverso il suo lavoro, Rainieri arriva a farci percepire le emozioni come Verdi arriva a farcele provare con la sua musica.

Les œuvres de Verdi ont marqués l’histoire de la musique et de l’opéra, il était donc inévitable qu’il inspire de nombreuses personnes. Un artiste italien du 21ème siècle du nom  de Vittorio Rainieri décide de rendre hommage à ce compositeur romantique italien. Selon lui, Verdi avait un message fort à transmettre dans ses opéras. Ainsi à travers 27 œuvres  il a su faire ressentir la poésie  du grand homme. Son style est caractérisé par des formes géométriques, un style ésotérique et des couleurs vives. Chaques éléments qui composent ses œuvres respectent la musique de Verdi. Il choisit un moment  clefs de chaque opéra qu’il extrapole. Ses peintures ne représentent pas un moment statique, elles représentent l’esprit du moment. A travers ses œuvres, Rainieri arrive à nous faire percevoir les émotions que Verdi arrive à nous faire ressentir via sa musique.

de Manon Lefevre.


  DEDICA AL MAESTRO GIUSEPPE VERDI 
 
di 
Giulia Alaibac
  I
L 22 febbraio 1920 viene inaugurato il Monumento a Verdi, ideato dall’architetto
  Lamberto Cusani in collaborazione con lo scultore Ettore Ximenes; i lavori, iniziati nel 1913 (Centenario della nascita di Giuseppe Verdi), Grazie ai reperti fotografici dell’epoca possiamo farci un’idea di come si presentasse l’opera commemorativa; la maestosa architettura dominava il piazzale antistante la stazione ferroviaria di Parma e consisteva in un doppio porticato semicircolare contenente 28 statue raffiguranti le più note opere di Verdi, ovvero i 26 melodrammi più la Messa da Requiem e l’Inno alla guerra. Al centro dell’emiciclo era collocata un’ara in granito con bassorilievi in bronzo, oggi situata in Pilotta.Nel 1944, a seguito dei bombardamenti sulla città, il Monumento rimase danneggiato; sebbene recuperabile, il governo cittadino ne stabilì la demolizione definitiva, che avvenne nel maggio del 1945. Delle 28 statue soltanto 9 salvate dall'oblio, sono ora custodite nel piccolo Teatro Arena del Sole a Roccabianca, le altre purtroppo furono gettate miseramente nelle acque del torrente Parma.
E’ proprio da qui che scaturisce l’idea del pittore Vittorio Rainieri; il progetto Dedica al Maestro Giuseppe Verdi, infatti, si fonda sul tentativo, indubbiamente riuscito, di rivisitare in forma pittorica l’opera architettonica e scultorea di Cusani e dello Ximenes; un lavoro impegnativo e profondamente sentito iniziato nel 2009 e oggi, in occasione del bicentenario dalla nascita del maestro di Busseto, finalmente concluso.
L’originalità del progetto risiede inoltre nel fatto che l’artista Rainieri ha concepito le sue esposizioni come un evento per così dire totale, un’occasione per ricordare Verdi accostando all’arte pittorica anche l’esecuzione di brani musicali dal vivo e degustazioni di alcuni prodotti tipici provenienti dalle terre così tanto amate da Verdi.
Le 27 tavole di notevoli dimensioni (156x106) cm, riunite in questo catalogo sono realizzate con tecnica pittorica mista ed illustrano le seguenti opere di Giuseppe Verdi:
Oberto Conte di San Bonifacio; Un giorno di regno; Nabucco; I Lombardi alla prima crociata; Ernani; I due Foscari; Giovanna D’Arco; Alzira; Attila; Macbeth; I masnadieri; Il corsaro; La battaglia di Legnano; Luisa Miller; Stiffelio; Rigoletto; Il trovatore; La traviata; I vespri siciliani; Simon Boccanegra; Un ballo in maschera; La forza del destino; Don Carlos; Aida; Messa da Requiem; Otello; Falstaff.
Prima di giungere all’osservazione e alla descrizione specifica di ogni singola opera occorre precisare alcuni concetti che risultano fondamentali per comprendere la personale  visione dell’arte del pittore.
Per Rainieri è fondamentale che l’arte risulti comprensibile a tutti e, prima di ogni altra cosa, che l’opera artistica trasmetta emozioni. Il compito principale dell’artista, di un pittore così come di un compositore o di un musicista, è di fare in modo che l’invisibile diventi visibile, rendendo così percepibili e tangibili emozioni e stati d’animo. L’artista infatti, uomo di estrema sensibilità, vive su di sé sentimenti contrastanti come il bene e il male, la speranza e la sofferenza, ed è proprio dal'alchimia di quest’esperienze dirette che ha origine la creazione artistica.
I protagonisti di queste 27 tele sembrano rivolgersi direttamente all’osservatore; il dolore, la rabbia, il dubbio e la sconfitta trapelano attraverso i loro gesti e le loro espressioni. Ogni personaggio è emblematico dell’opera musicale che rappresenta ed è delineato in modo estremamente dettagliato; è interessante notare come questa medesima forte caratterizzazione dei personaggi contraddistingua anche le opere di Verdi.
L’elemento che colpisce e al contempo rapisce immediatamente l’occhio di chi guarda è il colore, frammentato e vivificato dalla luce. Le figure appaiono vive, quasi in movimento e, più di ogni altra cosa, parlanti; i fasci di luce che le investono ne intensificano i colori, creando nuove forme e geometrie caleidoscopiche. E’ importante notare che le luci, le ombre e di conseguenza le tonalità di questi quadri mutano con il variare dell’illuminazione esterna ed è proprio per questo motivo, dunque, che risulta fondamentale definire la disposizione e l’esposizione alla luce delle opere nei diversi ambienti in cui esse sono esposte.
Patriota e convinto sostenitore dei moti risorgimentali Verdi percepiva l’esigenza di la libertà dagli austriaci come una più generale esigenza di libertà assoluta, come libertà di espressione, fondamentale per ogni artista, oltre che per ogni uomo. La tematica politica, più o meno celata, è quasi sempre presente nelle sue creazioni; Rainieri ricorda le parole del direttore d’orchestra Riccardo Muti: “Giuseppe Verdi è l’Italia. Lui siamo noi. Ma Verdi non era un ateo. Era un mangiapreti, che è cosa ben diversa. E dietro le sue musiche c’era un mondo trascendentale”. E’ proprio il Verdi più esoterico e sibillino che il pittore vuole presentare, basta infatti osservare con attenzione le 27 opere qui raccolte per riuscire a cogliere l’universo di simboli che si cela dietro ad ognuna di esse.


Dot. Giulia Alaibac


Vittorio Rainieri: " Dedica al maestro Giuseppe Verdi" di B.Vincenzi

Il percorso e la genialità di Vittorio Rainieri, artista parmense, è quella di essere animo inquieto che insegue di continuo nuove forme rivelatrici, verità nascoste, attingendo sempre a rinnovate fonti culturali e storiche ispiratrici e rivelatrici. Artista colto, nelle sue rappresentazioni indaga il Cosmo simbolico, deducendone verità, interrogativi, paradossi, che ferma come istanti, frame che passano attraverso il filtro della mente per poi essere rimandati alla pittura
Lunghi
anni di elaborazioni lo conducono verso molteplici esperienze e temi affrontati: corpo e spirito prendono forma nel progetto Dedica al Maestro Giuseppe Verdi. Omaggio, che nasce nel 2009 dalla volontà dell'artista di recuperare e far rivivere in forma pittorica, quello nel 1920 veniva inaugurato come il monumento dedicato a Giuseppe Verdi. Eretto nel piazzale della stazione nell'area dell'ex foro Boario, su progetto dell'architetto Lamberto Cusani, comprendeva ventotto statue, ideate dal palermitano Ettore Ximenes, personificazioni simboliche delle opere verdiane. Danneggiato dai bombardamenti del 1944, venne abbattuto nell'immediato dopoguerra, lasciando ai posteri solo qualche vecchio documento a testimonianza della sua esistenza. 
Nove
statue sono sopravvissute alla distruzione e sono a tutt'oggi collocate lungo le pareti del Teatro Arena del Sole di Roccabianca (Pr).
Rivederne
la sontuosità ora diventa possibile grazie alle immagini realizzate da Vittorio Rainieri, che con grande sapienza tecnica, frutto di una attenta ricerca, ha saputo estrapolare dalle varie partiture sceniche verdiane e dal monumento distrutto, un assetto scenografico-pittorico che lega fra loro musica, pittura e scultura.
Il
suo proposito prende forma con le prime dieci opere realizzate: Il Nabucco, I Lombardi alle prime crociate, Giovanna d'Arco, Il Rigoletto, La Traviata, L'Aida, Ballo in maschera, La Forza del Destino, Don Carlos, Falstaff, per terminare con le ultime 17 opere nel 2013, data del bicentenario della morte del Maestro di Busseto.
Nelle
opere ci appare evidente una certa maestosità, in una pittura che si lega alla scultura, e dove all'interno di un perfetto assetto scenico, di volta in volta i diversi personaggi raccontati da Verdi, rivivono i ruoli. Il dolore, la sconfitta, il tradimento, la burla, vengono immortalate dall'artista, che non vuole raccontare, ma raggiungere il cuore ed i sentimenti espressi nei drammi verdiani.

Il
paradosso tra burla e tragicità, viene fermato nel Rigoletto, buffone di corte, durante l'avvenuta maledizione di Monterone, rivale del Duca di Mantova. Il gioco prospettico sullo sfondo di una Mantova ostile, lontana, la maschera tragico-malinconica del Giullare, rappresenta lo stato mentale del buffone che per contrasto è distrutto dal dolore, in una rappresentazione lirica che arriva al cuore emozionando.
La
principessa Etiope Aida, divisa fra l'amore per il padre e la Patria e l'amore per Radames comandante del Faraone d'Egitto, viene sorpresa mentre rassegnata per la punizione inflitta all'amato, condannato ad essere sepolto vivo, si accinge a raggiungerlo nel sepolcro per morire assieme a lui.
La
forza espressiva degli spartiti verdiani, che portano in loro messaggi profondi e criptici, affrontando i grandi temi dell'Umanità, vengono recepiti dall'artista parmense e, rinnovati attraverso le immagini, che in un istante arrivano a cogliere l'attimo cruciale attraverso una comunicazione evocativa. Improvvise planimetrie vengono avvolte da lame di luce oblique, in un ritmo di luce e colore che indaga spiritualmente la tela, immergendola in una luce sublime. Forti ci appaiono i giochi di luce che, come in uno spettro solare, rimabalzano a raggiera, dividono le immagini in colori cristallizzati, rendendo la rappresentazione mutevole allo scorrere delle ore e variazioni di tempo. Le forme sinuose vengono pietrificate e rese immortali, nella luce che le scandaglia geometrizzando le forme, sottolineandone gli aspetti più arcani, esoterici, simbolici, cercando la verità e l'essenza. Grande attenzione inoltre presta al costume, all'espressione, alla teologia mistica e laica. Nella sua ricerca introspettiva, fissa così in ogni rappresentazione tutti i drammi ed i sentimenti intimi dei protagonisti, l'attimo fuggente, lasciando ampio spazio ad un rinnovato coinvolgimento dello spettatore, che come a teatro subisce un turbamento interiore e viene travolto dalla maestosità, in un turbinio di emozioni incessanti. Dunque Vittorio Rainieri, compie una duplice indagine sugli spartiti del Maestro Verdi: ne coglie appieno ciò che fu la sua personalità ed insieme il suo operato, in un risultato di bellezza e sintesi, profondità ed armonia.

dot. 
Barbara Vincenzi


TRASFIGURAZIONI: LA PITTURA DI  V. RAINIERI
 FRA REALTÀ E IMMAGINAZIONE 
di Simone Fappanni  - VIDEO -

V.Rainieri e la modernità figurativa: un’immagine o meglio un confronto che rende l’artista il vero e proprio artefice del proprio cercare, nella e sulla superficie del supporto, l’amalgama coloristica che genera il riverbero, la presenza, l’espressione metabolica, germinativa, del soggetto. E in questo suo scavare Rainieri affonda lo sguardo nella profondità assoluta della scomposizione; balza senza timore all’interno dello spazio rappresentativo per farne il palcoscenico delle sue figure ammantate (ammaliate?) di luce. Luce riflessa - estroflessa - flessuosa, cardine e azimut di una parabola mentale che travolge e sonda atmosfere che tracciano particolari sensazioni ed emozioni. Vittorio, lo si nota già ad una prima, sommaria osservazione dei suoi lavori, inizia dal segno e da esso costruisce forme che ingigantiscono e si fanno presenze, battiti che ritmicamente scandiscono i passi di un racconto, di un istante ripetuto e fermato per sempre sulla tela. E quando si aprono queste geometrie di luce, volti e immagini di cose si affacciano entro le sue improvvise planimetrie, giocate amabilmente su contrappunti antinomici, allora si afferma con grande vigore quel protendersi del soggetto oltre i confini del fantastico - surreali che nella sfera onirica percorrono tracciati in cui la materia è sostanza vacillante, visione. Già dalle prime prove Rainieri ha dimostrato di sapere affrontare il discorso figurativo attraverso un’essenzialità meta-narrativa di chiara impronta ideativa, maturando progressivamente un triangolismo espressivo - secondo l’antico adagio per cui il triangolo è sinonimo di aspirazione al perfetto equilibrio - che alla mera fisicità oppone la scansione pura planimetrica, accordandosi con declinazioni timbriche muovono dall’interiorità. Ciò si nota, in particolare, nei lavori dove la postura non è mai plastica, ma si fa sempre in divenire, verrebbe da definirla “in lieve moto”. E questo insistere del pittore sul dettaglio posturale, rimanda irresistibilmente a una suddivisione articolata dei volumi, entro cui Rainieri si muove attingendo a piene mani da quell’incessante indole sperimentale che ci sembra l’elemento distintivo di questo originale autore. Come pure davvero singolari e riuscite sono le lame di luce che filtrano da fonti spesso immateriali e che sondano nel profondo la morbidezza dell’incarnato dei suoi volti, il panneggio degli indumenti e i vertici degli oggetti che popolano i suoi interni, veri e propri pertugi dove l’artista racconta - e si racconta - in un silenzioso protendersi verso una realtà mai tradita o travisata. Tutto quanto, piuttosto, appare e scompare come nella mente delle sue modelle, imprimendosi nella memoria come a voler tentare di confermare la ricchezza, ma pure il limite, umanissimo, dell’oggettualità materica, eppure sognandone la non degenerazione. Ecco allora che il quotidiano da prevedibile diventa imprevedibile, in un piacevole divertissement di accostamenti che rendono il dipingere di Vittorio una vera e propria fonte di riflessione. La medesima impressione si ha quando si guarda alle tante nature morte che egli esegue con il medesimo procedimento trasfigurativo, poggiando su intuizioni neocubiste ma anche e soprattutto su un’idea a lui ben chiara e spesso ripetuta nei nostri dialoghi: “i miei colori cambiano ad ogni ora del giorno”. E tutto questo è la semplice verità: le sue tinte riversano una luce intensa e calda che potrebbe essere paragonata, molto probabilmente, a un dolcissimo e  avvolgente fascio luminoso. Vittorio è dunque uno di quegli artisti ai quali lo “stupore” per il certo e il probabile risulta congeniale, anzi linfa su cui confrontarsi continuamente nella ricerca, mai esausta, sul dettaglio, sul segmento compositivo che genera la mistura del colore e penetra docilmente nelle maglie di un ordito rappresentativo ordinato e plastico. Ed è proprio in questo che sta la modernità del nostro pittore, nel suo volgersi senza timore al nuovo credendo profondamente in se stesso in quanto artista sempre pronto al nuovo.

Dott. Simone Fappanni (studioso d’arte )


Un continuo approccio a nuove tecniche. di Licinio Dott. Boarini
Pubblicato dalla Enciclopedia d'Arte Biennale
anno 1984 - 85

V.Rainieri Ha cominciato ad interessarsi alle arti figurative da giovanissimo con particolare attenzione alla grafica, conseguendo fin da subito ampi consensi; in seguito ha iniziato ad interessarsi al paesaggio ed alla figura con un continuo approccio a nuove tecniche. Presente a numerose occasioni artistiche ha conseguito sempre riconoscimenti e premi tra i primi classificati. Sue opere sono presenti presso numerose collezioni private ed enti pubblici.
<< Le ascendenze figurali di Vittorio Rainieri pescano molto al largo le loro prime incidenze espressive: sono stati infatti sollecitazioni quasi parapsicologiche ad influenzare la sua disponibilità grafica con immagini captate in questo imprevedibile cosmo emblematico e, dai primi approcci all' arrivo del colore, è stato un rapido susseguirsi di immagini, a volte geometrizzate, vorticanti in ambiente di misteriose anche se ben precisate connotazioni dense di arcani significati. Passare da simile stallo descrittivo alle composizioni naturalistiche e al paesaggio, il passo anche se tormentato agli inizi, è stato rapido e preciso; visioni dei luoghi, atmosfere vaporose della Padania, racimoli panoranici della Bassa hanno cominciato a popolare la tavolozza del Rainieri sempre più vivida a suggestiva nel rimarco, nelle pungenze emergenti da quei pingui esterni ubertosi e densi di fermenti e di nebbia! >> 
 
( C. d. A. Licinio Dott. Boarini 1984 )


Gustare la visione di un Arte oltre l’Arte. di U. Zappavigna
Pubblicato dalla Enciclopedia d'Arte Biennale
anno 1987 - 88

Victor Il Pittore. L’ Ho assistito a dar l’assalto alla barricata della pittura. ora ci pare giusto dire che sta affiorando un vero pittore. Ciò che conta è il gustare la visione di un Arte oltre l’Arte. Al di là dei tempi. Proposizioni teoriche, che l’artista neppure tenta di nascondere dietro ad un facile e anemico velario di un’etichetta purchè sia. Il nostro Rainieri. affonda in profondità, i suoi mezzi in quel terreno dalla superficie ormai sterile, partendo da una linea, solo apparentemente piatta, disegni dagli effetti puramente scenografici; ma quando su quelle superfici vibratili depone cose e figu­re avvolte nel proprio colore, quel colore medesimo pare ricevere, per effetto ma­gico, un impulso vitale autonomo, mutevole, al punto che il soggetto rappresentato sulle sue tele (complice la luce del momento) ne reinventa la lettura come il guardare dentro un caleidoscopio, creando risultati di lettura sempre nuovi. Nel combusto stesso di quanto vi è di figurativo e di informale, reca di per se un calore esistenziale, direi carnale. Ma il punto è un altro ed è il mistero di quella luce bianca che ti ghermisce, ti perseguita e suscita in te vertigini di abissi senza fondo e qui il disagio si fa addirittura fisico, finchè… scopri entusiasta la felice intuizione di base da parte dell'artista che è quella di servirsi della luce. Luce, che ha il privilegio consentito a pochi elementi di trasfor­marsi in continuazione. Elemento che scava, attenua, intensifica i colori e illumina il soggetto con aspetti poetici ed inattesi, in una parola ribalta quello che era l’originale ordine compositivo, estraendone una nuova, e quindi un’al­tra ancora, pur restando in fondo sempre la medesima. Secondo me tutto ciò sfugge perfino alla tensione creativa del suo autore e a tra­dirlo fu un luccichio strano di stupore che colsi in flagrante nel suo sguardo, mentre osservava la sua ultima opera, (Donna alla finestra) come se quell'opera non fosse opera sua, ma di un altro, di un nessuno o di un mago. 

( Ass. Cult. U. Zappavigna )
  Salsomaggiore Terme , lì 10.02. 1987


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